1ª rassegna Zootecnica d’Autunno dedicata alla capra Bionda dell’Adamello

29 Dicembre 2008

Breve cronaca della giornata di gara

di Laura Milone

Si è svolta nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 novembre 2008 la Prima rassegna Zootecnica d’Autunno dedicata alla capra Bionda dell’Adamello. La manifestazione organizzata dall’Associazione per la tutela e la valorizzazione della capra Bionda dell’Adamello in collaborazione con l’APA di Brescia e numerosi enti locali, ha avuto luogo presso il centro zootecnico di Edolo. Lo spunto organizzativo è partito dalla volontà di coprire il mancato appuntamento con la tradizionale mostra della Capra Bionda, annualmente organizzata dall’APA di Brescia, che per la prima volta quest’anno (2008) si è tenuta in primavera anziché in autunno. Il cambio di periodo è motivato dalla possibilità offerta dal periodo primaverile di svolgere una più completa valutazione dei soggetti; permettendo questa stagione al contrario di quella autunnale, un’opportuna valutazione della mammella, caratteristica morfologica particolarmente importante in animali il cui indirizzo produttivo nonché principale motivo di allevamento, è la produzione di latte.
Gli allevatori presenti alla rassegna hanno provveduto nella mattinata di sabato alla sistemazione dei loro animali nei box; nella stessa giornata è stata effettuata anche una prima valutazione dei soggetti. Domenica è stata la volta del concorso vero e proprio con la sfilata degli animali suddivisi in 8 categorie in base al sesso e all’età (dai giovani becchi nati nel 2008 alle capre nate nel 2004 o precedentemente) e relativa valutazione da parte del Dott. Ponti, giudice di gara, coadiuvato dal Dott. Panteghini, Tecnico SATA per la provincia di Brescia. Nel pomeriggio allevatori e animali hanno ricevuto oltre ai meritati premi i complimenti di tutti i presenti. Davvero degno di nota l’allevamento di Ivano Sacristani di Niardo che con 5 primi posti, il miglior becco e la miglior capra si è senza dubbio imposto come miglior allevamento.
A corollario dell’evento, la presenza di diverse bancarelle nel piazzale del centro fieristico e l’organizzazione di un punto ristoro egregiamente gestito dall’Associazione per la tutela e la valorizzazione della capra Bionda dell’Adamello hanno contribuito a creare un clima piacevolmente festoso.

Bionda dell’Adamello e Fatulì, analizzare il passato per riflettere sul futuro!

di Luigi Andrea Brambilla
Esperto di problematiche di tutela delle razze caprine alpine locali

Ottimo soggetto femmina nell'allevamento Mainetti LC nei primi anni '90 - Foto LA Brambilla, 1993 (clicca per aprire/chiudere)

Ottimo soggetto femmina nell’allevamento Mainetti LC nei primi anni ’90
(Foto LA Brambilla, 1993)

La riproposizione durante il periodo autunnale della mostra caprina di Edolo, quest’anno organizzata dall’Associazione Allevatori per la Salvaguardia e la Valorizzazione della Capra Bionda, ci permette di riflettere sul trascorso di questa razza e ipotizzare il suo futuro. Affrontiamo subito la questione legata alle mostre zootecniche di questa razza: quella primaverile organizzata dall’Associazione Provinciale Allevatori di Brescia e quella autunnale organizzata appunto dall’Associazione Capra Bionda. Due mostre sono sicuramente uno sforzo notevole dal punto di vista organizzativo e finanziario, due mostre che però purtroppo si pongono, come unico obiettivo di confronto fra allevatori, lo svolgimento del concorso zootecnico. Cioè la valutazione degli animali da parte di un giudice al fine di stilare una semplice classifica dei soggetti migliori. Oltre il mero aspetto dimostrativo, e cioè far vedere su quali soggetti cadono le preferenze del giudice, senza un vero e proprio modello di valutazione studiato e pensato per la specifica razza la sola valutazione dei soggetti in mostra non ha un gran senso se poi non è accompagnata da un progetto più ampio di miglioramento, necessariamente allargato alla popolazione caprina intera. Ecco perché, lo sforzo dei due appuntamenti zootecnici, andrebbe contestualizzato alle problematiche della razza creando dei momenti di confronto costruttivo e non solo competitivo fra gli allevatori.
Mi viene in mente l’interessante iniziativa portata avanti per alcuni anni dall’APA di Brescia. L’Associazione Allevatori organizzava infatti ogni anno un incontro con temi differenti e di attualità. L’ultimo da me presenziato aveva come titolo “Lo stato attuale e le problematiche della Capra Bionda dell’Adamello” (21 Ottobre 2006, Edolo). Spesso però gli stessi allevatori, principali destinatari di questi incontri, non coglievano l’importanza di trovarsi almeno una volta all’anno attorno ad un tavolo di discussione, e così, su più di cento possessori di capre, ne partecipavano solo una decina! Ancor meno presenti, se non totalmente assenti, i rappresentati degli Enti Locali in cui la razza viene allevata. Così niente più tavolo di incontro e discussione.
Tornando agli aspetti e alle problematiche legate alla popolazione della capra Bionda, oggi presente in quattro provincie lombarde e in quella autonoma di Trento, il sottoscritto, già nel ’95, aveva presentato un progetto triennale denominato “Piano di Salvaguardia e Miglioramento”. Tralasciando il fatto che si preferì appoggiare un progetto antagonista che tentava il miglioramento della popolazione attraverso l’ideazione e la sperimentazione di un piano alimentare di crescita delle caprette e che nella Bionda, per circa quindici anni, di salvaguardia e miglioramento non se ne è più parlato seriamente, non si può non dire che, le caprette sono sì migliorate, forse, ma per merito dell’introduzione di riproduttori esteri selezionati. Uno stile, un modello di miglioramento, che alla fine è un semplice incrocio di sostituzione operato da razze selezionate e che tanto era di moda fino a metà del secolo scorso, come metodo di miglioramento delle nostre razze locali, ma che è anche stato ultimamente criticato perché ritenuto responsabile della scomparsa delle nostre razze autoctone.
Ecco perché mi preme descrivere, in sintesi, il vecchio e unico piano di salvaguardia per la Bionda, che oggi andrebbe sicuramente rivisto e attualizzato, ma che si sarebbe naturalmente evoluto se fosse stato applicato fin dal suo anno di concepimento. Esso prevedeva differenti fasi a obiettivi progressivi.
La prima consisteva nell’ideare uno standard preciso e condiviso oltre che un sistema di valutazione morfologica corretto e applicabile, così da suddividere la popolazione tutta, o parziale in via sperimentale, in differenti categorie. Si intendeva applicare il concetto di Madri di Becco (MB) e Madri di Capre (MC), allora futuribile per le razze locali. Il sistema di valutazione approfondiva caratteri morfologici di tipo estetico di razza, costituzionale e funzionale. Gli anni successivi, seconda fase, una volta valutata la popolazione e suddivisa in categorie, si sarebbe passati allo stadio più delicato. Cioè suddividere la popolazione, oltre che per le categorie morfologiche, anche per i livelli produttivi raggiunti singolarmente. Così da ridisegnare il quadro MB e MC secondo una nuova formula, più avanzata, ipotizzando in questo modo la gestione dei riproduttori anche secondo questo profilo.
Raggiunti gli obbiettivi minimi delle due precedenti fasi, in quegli anni vi era sia una priorità di fissare nella popolazione i caratteri di razza sia iniziare a intravedere se i livelli di produzione, verificati in fase investigativa, potessero essere migliorati mantenendo invariato il contesto pastorale di allevamento (pascolo stanziale e alpeggio), veniva ipotizzata una terza fase. Essa prevedeva la possibilità di costituire un gruppo di becchi, in monta naturale, da ridistribuire nella popolazione attraverso un sistema di accoppiamenti programmati e volontari tenendo conto sia del livello della stalla in base alla frequenza di soggetti MB e MC, sia secondo delle variabili aziendali-allevatoriali che suddividevano gli allevamenti in tre differenti categorie di livello di salvaguardia e miglioramento.
Eravamo nel ’95, la razza Bionda era fresca di interesse di salvaguardia, poco si sapeva di come intervenire su queste razze, ma il programma illustrato prevedeva già un controllo continuativo dei soggetti in tutte le fasi e nei diversi anni di carriera produttiva e riproduttiva.
Quindici anni fa però tutto ciò non fu capito e apprezzato non trovando quindi approvazione nelle sedi ufficiali regionali in cui fu proposto. Oggi non ci si deve chiedere più le motivazioni di questo, ma non si può non sottolineare il fatto che a fronte della presenza in passato dei presupposti tecnici per intervenire su questa razza, l’uso di riproduttori esteri è attualmente ingiustificabile oltre che sconveniente dal punto di vista della salvaguardia della razza e dell’immagine tradizionale di un territorio montano.
Attualmente non sappiamo nemmeno con precisione quante capre Bionde vengono allevate in tutto il territorio, mi sembra quindi alquanto curioso che si pensi a progetti genetici di alto livello come quelli ultimamente proposti agli allevatori.
Per questo dobbiamo riflettere sul futuro!

Fatulì tradizionale - Foto L.A. Brambilla, 1996 (clicca per aprire/chiudere)


Fatulì tradizionale
(Foto LA Brambilla, 1996)

Un futuro che, purtroppo, si sta delineando esclusivamente in termini di interventi su un altro fondamentale argomento di grande interesse legato alla Bionda: il Fatulì. La testimonianza di questo formaggio è successiva ai primi interventi di monitoraggio sulla razza e risale, mi spiace per chi vuole prendersi il merito di averlo scoperto (e sono in tanti), al 1996. Cioè quando in un mio articolo (Brambilla L.A., Segretario Associazione allevatori per la tutela e la valorizzazione della Capra Bionda dell’Adamello: «Il Fatulì». Scheda in supplemento. CASEUS n°1. Anno I°, Luglio 1996) per conto dell’Associazione Bionda e grazie al contributo degli allevatori (Soci fondatori, insieme a me, dell’Associazione medesima) è stata redatta una scheda, sicuramente artigianale, ma la prima in assoluto, sul sistema di caseificazione di questo formaggio. Solo oggi, dopo i soliti quindici anni (più o meno), ci si accorge di doverlo salvare, e lo si fa a tutti i costi. Ecco quindi la nascita di disciplinari di produzione (ottimo darsi delle regole) dove però imperano termini come quando possibile, preferibilmente, solitamente, che non rendono merito a un Fatulì come espressione di una tradizione pastorale, espressione cioè di una cultura del fare e dell’allevare in montagna che lo identificherebbe correttamente come prodotto, non solo tipico, ma ad “identità” tipica.
Per questo dobbiamo riflettere sul futuro!
Riflettere sul futuro oggi non è più ideare delle strategie di salvaguardia o di mercato del Fatulì, paradossalmente queste cose andavano discusse quindici anni fa, ma è capire che grado di livello di salvaguardia è presente oggi nella razza Bionda. È prioritario verificare il grado di perdita di originalità, cioè di patrimonio genetico, che ci è costato l’uso di riproduttori esteri. Questo ci darebbe modo di pensare apertamente a come procedere in futuro, non escludendo la totale sostituzione della razza Bionda con quella Toggenburg.
Per quanto riguarda il Fatulì, invece, bisognerebbe discutere coscientemente su cosa si vuole intendere per recupero e valorizzazione di questo formaggio. In concreto, andrebbe analizzato se oggi si stanno mettendo in atto le giuste strategie per salvaguardare l’identità tipica di questo prodotto, se queste hanno ricadute positive sulla rinascita di una razza originale e se tutto questo sia in grado di mantenere gli allevatori in montagna in un contesto pastorale tradizionale e non convenzionale intensivo del tutto estraneo al territorio alpino.
Ciò non vuol dire rifiutare tout court l’innovazione come strumento ma applicarla solo se a favore della tradizione pastorale, evitando però di cadere nell’omologazione dei tecno-cibi mascherati da prodotti ad elevata espressione culturale.
Bisogna infatti prendere coscienza che il mercato dei prodotti agro-alimentari tipici si sta evolvendo, sta cioè maturando. Così, quando si dubita sullo spessore culturale e tecnico degli attuali disciplinari del Fatulì, non si tratta di una questione di ordine morale pensata seduti dietro ad un tavolino ideologico, peraltro del tutto legittima, ma una vera e purtroppo pericolosa questione di previsione economica. Il formaggio oltre a saperlo fare e a saperlo vendere, cosa di cui nessuno dubita, bisogna poterlo vendere e oggi il mercato si sta accorgendo che esistono prodotti “veri” portatori di tradizione e prodotti..!
Allora perchè non pensare anche a un prodotto carne, anch’esso confezionato solo con le capre “Bionde”. Strinù, la Berna e un capretto a marchio territoriale, possono contribuire a proporre una gamma di prodotti realizzabili con i diversi sistemi allevatoriali pastorali autentici senza ricorrere a quelli intensivi.
Ecco perchè, in un momento in cui si è obbligati a confrontarsi con una crisi generalizzata, si deve riflettere su quali strategie adottare per un allevamento della capra Bionda in montagna che sia solido, durevole e stabilmente costruito su fondamenta non speculative di immagine.

Articoli consigliati

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *